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27.4.15

Fair & Ethical Fashion Show



Milano diventa capitale della moda equa e solidale. Per tre giorni -dal 22 al 24 Maggio 2015  ad apertura della World Fair Trade Week-, lo Spazio Ex-Ansaldo di via Tortona 54  a Milano , ospiterà produttori ed espositori dall'Italia e da tutto il mondo per la prima fiera internazionale di moda etica e solidale in Italia.

Un appuntamento dedicato ad aziende e specialisti del settore, ma aperto al pubblico, che permetterà
di ammirare le produzioni di tessuti e capi di moda etica e solidale e per approfondire i temi legati alla tutela dei diritti del lavoro e della sostenibilità dell’industria tessile mondiale. La Fair&Ethical Fashion Show ospiterà il convegno di rilevanza internazionale: “La moda cambia abito. L’industria della moda tra diritti e business”, promosso dalla Camera Nazionale della Moda, AGICES-Equo Garantito e WFTO .
Dal 23 al 31 Maggio 2015 Milano sarà la capitale mondiale del Fair Trade grazie alla World Fair Trade Week 2015 . Nell'ambito di questo evento unico e di portata internazionale non poteva mancare uno sguardo sul mondo della moda, di cui Milano è tra le capitali a livello mondiale -spiega David Cambioli, vicepresidente AGICES-Equo Garantito -. L'industria della moda muove enormi fatturati, impiega milioni di persone e ha un elevato valore simbolico. Allo stesso tempo si registrano elevati impatti a livello sociale ed ambientale, elevati tassi di inquinamento e sfruttamento delle risorse primarie. Nel mondo ci sono molte realtà che da tempo hanno iniziato a guardare a questo settore attraverso la lente dell'etica. Al Fair and Ethical Fashion Show , presenteremo uno spaccato del mondo della moda etica. Ditte e organizzazioni italiane, europee ed extraeuropee impegnate a sviluppare produzioni attente al destino di chi lavora e a quello dell'ambiente. Un modo pratico per dimostrare che produrre e vestire in modo diverso si può e si deve! ”.
Da anni il circuito mondiale del Fair Trade si è concentrato sulle politiche di rispetto dei diritti umani,
dell'ambiente  e sulla lotta allo sfruttamento della manodopera impiegata per confezionare prodotti di moda.
Il risultato è stato l'avvio di centinaia di produzione etiche  e il posizionamento sul mercato di tessuti e prodotti di alta qualità  e con un valore sociale e ambientale  intrinseco. Le produzioni legate al commercio equo e solidale traducono il concetto di responsabilità  della filiera produttiva nell'affermazione di uno stile di vita e di vestire consapevole  degli impatti sociali e ambientali del consumatore.

“Fair & Ethical Fashion Show offre una visione della moda aperta, condivisa e fortemente democratica .
Uno spazio in cui prendono forma stili, tendenze e nuovi modi di interpretare la moda nell’intento di elaborare possibili scenari e nuovi modelli futuri capaci di fondere tradizione, ricerca e etica. Una visione dello stile in cui i brand tornano a dialogare con i propri utenti secondo principi di responsabilità etica, sociale e ambientale senza rinunciare alla creatività e all'innovazione”. Così ha dichiarato l’Assessore alle Politiche del Lavoro, Università e ricerca, Moda e Design del Comune di Milano, Cristina Tajani.
Il Fair & Ethical Fashion Show riunirà in via Tortona oltre 40 espositori  tra produttori del commercio equo e solidale del settore, soggetti italiane e stranieri della filiera del Fair Trade, soggetti del settore moda italiani; tutti si riconoscono e si impegnano nella tutela dei criteri di giustizia e sostenibilità, ovvero condizioni di lavoro che rispettano diritti, politiche commerciali eque, libertà di associazione sindacale, rispetto per l’ambiente, l’uso di materiali riciclati o riciclabili, sostegno alle produzioni biologiche, rapporti commerciali diretti con i produttori sopratutto del Sud del mondo. Un corpus di norme che ha preso forma nella Carta dei Criteri del Commercio Equo e Solidale, nel Manifesto della Sostenibilità per la moda italiana, nella campagna Abiti Puliti. I partecipanti al Fair&Ethical Fashion Show, aderendo all'evento, sottoscrivono questo sistema di valori nella produzione e distribuzione. La “Carta dei criteri” -può essere scaricata dal sito worldfairtradeweek.org-.













22.2.10

Interviste: Paolo Pastore, Fairtrade Italia

Per capire meglio il legame tra moda bio e commercio equo e solidale (fairtrade) ho intervistato Paolo Pastore, direttore di Fairtrade Italia.

Ci può descrivere le attività del Consorzio Fairtrade?
Il Consorzio Fairtrade TransFair Italia fa parte di FLO (Fairtrade Labelling Organizations international), Federazione internazionale dei marchi di garanzia, che raggruppa attualmente 20 organizzazioni che operano in Europa, Stati Uniti, Canada, Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Messico. Flo e Fairtrade TransFair garantiscono che i prodotti che portano il marchio Fairtrade siano stati ottenuti senza causare sfruttamento e povertà nel Sud del mondo e siano stati acquistati secondo i criteri del commercio equo e solidale.

Cosa intendiamo esattamente per commercio equo e solidale?
Il commercio equo e solidale è una partnership commerciale fondata sul dialogo, la trasparenza e il rispetto, che cerca di stabilire una maggiore equità nel mercato internazionale. Contribuisce ad uno sviluppo sostenibile offrendo migliori condizioni commerciali ed assicurando i diritti dei produttori
e dei lavoratori svantaggiati del Sud del Mondo. Le organizzazioni del commercio equo, anche con l’aiuto dei consumatori, sono impegnate nel supporto ai produttori e in campagne finalizzate a cambiare le regole e le pratiche del commercio tradizionale.

Parliamo di cotone biologico. Che peso ha il cotone bio nel fairtrade?
Tutto il cotone fairtrade è prodotto e lavorato con criteri di basso impatto ambientale ma la certificazione biologica riguarda a tutt’oggi solo una piccola parte del mercato equo e solidale. Se consideriamo il cotone fairtrade nella coltivazione a livello mondiale circa il 50% è anche bio, mentre nel marcato italiano del prodotto finito e commercializzato la percentuale scende al 10%.
Fino al 2005 l’abbigliamento bio era rappresentato prevalentemente dai prodotti “etnici” con basso contenuto moda. Oggi il peso maggiore è rappresentato dalla categoria merceologica dell’abbigliamento jeans. La novità degli ultimi 5 anni è proprio l’ingresso sul mercato di numerosi jeans di marchi famosi e private labels.
Diversa la situazione dei prodotti fairtrade del food, dove la percentuale sale al 50%.

Qual è il peso dell’abbigliamento fairtrade sul totale?
Nel massmarket (supermercati ed ipermercati) dall’AI 2006-2007 all’AI 2009-2010 in Italia sono state vendute circa 35.000 paia di jeans fairtrade annui e la stessa quantità di T-shirt e similari per un totale di circa 70.000 capi annui. A valore queste quantità si traducono in un sell out al dettaglio di 1,75 milioni di euro (prezzo medio al dettaglio 25 euro).
Se si confronta questo valore con le vendite di tutti i prodotti fairtrade in Italia (circa 48 milioni nel 2009) si evince che le vendite di abbigliamento fairtrade pesano ad oggi solo il 3% sul totale, quota certamente in crescita nei prossimi anni.
Ad esempio la novità del 2009 è rappresentata dalle borse in cotone per la spesa: le vendite annue a volume sono rappresentate da 750.000 pezzi e si traducono in un valore stimato di 1.400.000 euro (prezzo medio 1,9 euro).

Cosa accadrà in Italia nei prossimi anni?
Sicuramente ci sarà un forte incremento dei volumi di prodotto fairtrade nei prossimi anni. Una grossa spinta sarà fornita dalla legge in vigore (con il ritardo di un anno) dal 1/1/2011, quando saranno disponibili borse di cotone fairtrade in tutti i supermercati ed ipermercati: Lidl le ha già e sono andate a ruba!

All'estero alcuni retailers trovano spazio da tempo delle linee nel mercato equo e solidale. In Italia questo non avviene: quali sono, secondo lei, le ragioni di questo ritardo italiano?
Si tratta di un problema atavico, ormai congenito in Italia che riguarda non solo il consumo di cotone organico ma anche i prodotti alimentari bio.
L’Italia è in ritardo per due problemi.
Da un lato la mancanza di un intervento pubblico per la sensibilizzazione verso i prodotti di utilità sociale. Ad esempio nel 2009 la Germania ha investito 1.5 milioni di euro in campagne di sensibilizzazione verso i prodotti bio e fairtrade. Il governo francese, invece, ha bandito delle gare d’appalto per forniture pubbliche di prodotti fairtrade: tute da lavoro con cotone fairtrade per postini francesi o il personale di Expedia in aeroporto.
In Austria il governo ha investito circa 250mila euro in campagne di informazione per spingere a utilizzare i prodotti certificati Fairtrade, mentre in Inghilterra il cantante dei Coldplay ha sostenuto il commercio equo e solidale indossando durante i concerti t-shirt in cotone prodotto da contadini africani. Da noi questo ancora non avviene.
L’altro motivo è la scarsa presenza di private labels con linee bio. In Germania Lidl ha lanciato una linea di abbigliamento esterno di cotone fairtrade andata a ruba; in Austria Spar (in Italia l’insegna si chiama Despar, Ndr) ha proposto una linea di tessile casa con cotone fairtrade per la PE2009). Anche Muji, che è ancora poco presente in Italia, ha lanciato una linea di biancheria da letto fairtrade.
L’Italia è in ritardo anche per i prodotti bio di marca: pensiamo alla Jack&Jones, brand danese, specializzato in denim maschile (presente in Italia tramite un monomarca a Faenza e tramite il canale e-commerce, Ndr) che utilizza cotone certificato bio, coltivato da piccole aziende agricole. Jack&Jones è appena entrato in Italia mentre è già molto diffuso in altri paesi.
Nel 2009 il valore al dettaglio del commercio equo (tutti i canali, Ndr.) nel territorio nazionale si aggira intorno ai 120 milioni di euro: superando questi due problemi il valore potrebbe duplicarsi a breve, seguendo l'esempio di Francia e Germania che in pochi anni hanno raggiunto rispettivamente i 255 milioni e 210 milioni di euro.